Per la prima volta dal disastro di Fukushima, i media nazionali danno risalto alla rilevazione di radiazioni significative lungo la costa nordamericana. Potrebbe sembrare una buona notizia: in fondo, sono passati ben quattro anni e solo adesso si inizia a percepire un livello di radioattività, “a livelli troppo bassi per costituire una minaccia significativa per la salute umana o la vita marina”, almeno secondo gli scienziati consultati.
Eppure… eppure, proprio due anni fa, un articolo della Reuters segnalava che dall’inizio dell’anno 2013 alla fine di marzo dello stesso anno, erano deceduti più di novecento cuccioli di leoni marini tra Santa Barbara, Ventura, Los Angeles, Orange e le contee di San Diego (dati NOAA).
Gli scienziati non sono ancora riusciti a comprendere la moria di questi cuccioli.
I test di routine sui frutti di mare, svolti dalla FDA, non comprendono la misura delle radiazioni. Se anche vi fossero i soli dosaggi rilevati nell’articolo di cesio-134 e cesio-137 già sarebbe un problema: perché un conto è che a nuotare sia un essere umano, un conto è che a nuotarci dentro sia un pesce che pesa un centinaio di volte di meno ma, soprattutto, che si trova stabilmente nelle sue acque e si nutre nel plancton che, a sua volta, filtra l’acqua contaminata.
La domanda a questo punto è lecita: quanto è salubre il pescato dell’Oceano Pacifico?