Lo spirito del tempo (Zeitgeist) è un’espressione con cui si indica, spesso, la tendenza culturale predominante in una determinata epoca. Se parliamo degli anni ’80, è l’epoca di quando le emittenti private iniziavano a mandare in onda trasmissioni anche in fascia pomeridiana.
Avendo quindi bisogno di contenuti, possibilmente per “bambini”, non possiamo non parlare della trasmissione degli anime che, all’epoca, venivano ancora chiamati “cartoni animati giapponesi”.
Una serie piuttosto breve che fu importata in Italia subito nel 1980, ma che è rimasta nel cuore e nella memoria di molti fan, è quella di Daitarn 3 (無敵鋼人ダイターン3 ovvero Muteki kōjin Daitān 3, letteralmente: “Daitarn 3, l’invincibile uomo d’acciaio”). Si tratta di una serie prodotta dalla Sunrise e creata da Yoshiyuki Tomino (autore, tra gli altri, di Gundam) mentre il mecha design era di Kunio Ōkawara.
Si tratta di uno dei migliori dell’epoca e, nonostante si componga di soli 40 episodi, lo sviluppo dei personaggi e le trame avevano risvolti piuttosto adulti.
La trama si sviluppa in una Terra contemporanea intorno ai “meganoidi”, dei cyborg creati su Marte dal professor Haran Sozo e sfuggiti al suo controllo. A capo troviamo Don Zauker, un robot dal cervello umanoide che si esprime in modo incomprensibile e solo attraverso Koros, la sua sacerdotessa e interprete. Quest’ultima è un misto tra un cyborg sottomesso e una dominatrice.
Questi due personaggi vogliono conquistare e schiavizzare l’umanità, convertendo gli esseri umani migliori a loro volta in meganoidi. Un processo irreversibile che li rende in grado di trasformarsi, grazie ad un apparecchio speciale, in “megaborg”. Questi ultimi sono degli enormi robot da combattimento, invincibili con le tecnologie terrestri.
Nel corso di tutta la storia sono numerosi i riferimenti ad altre opere di fantascienza: non ultimo un chiaro riferimento a Star Wars, uscito l’anno prima della realizzazione dell’opera.
A mettersi in mezzo, per tutta la durata della serie, è Haran Banjo ovvero il figlio del professor Sozo. Questi, dotato di un gigantesco robot trasformabile chiamato, appunto, Daitarn 3, affronterà in ogni puntata il meganoide / megaborg di turno.
Non è però tutto umano ciò che combatte al nostro fianco, e con il tempo si comprenderà quale sia il passato del protagonista e la vera motivazione che lo spinge a “difendere la terra dall’ombra della guerra” (cit.).
La trama si sviluppa in maniera episodica.
A poco a poco si svela il passato di Haran Banjo, la sua fuga rocambolesca da Marte con i meganoidi alle costole, e le ragioni del suo odio viscerale per ognuno di loro.
Come accennavo all’inizio, i cartoni animati giapponesi sono stati importati all’epoca in Italia come se fossero un prodotto qualsiasi destinato ai bambini. Tale approccio superficiale, molto approssimato ma in linea con le conoscenze dell’epoca, ci ha permesso di accedere a tutta una filmografia che in in Giappone copre un ambito grande e variegato, tale da avere tutte le classificazioni possibili, dall’infanzia all’età adulta.
Così i bambini degli anni ’80, che hanno potuto assistere alla messa in onda di cartoni animati privi di un profondo controllo preventivo, hanno così potuto assistere ad animazioni che sublimavano situazioni reali o verosimili (vedi L’Uomo Tigre oppure le varie serie robotiche).
Con queste trasmissioni, dove sono presenti temi spesso da “adulti” ma mediati dal disegno, hanno sviluppato una capacità critica che già negli anni ’90, con l’avvento del merchandising e un approccio più consapevole alle classificazioni, non si avrà più.
Questo è particolarmente vero con questo anime, e per capirlo basta elencare due dei personaggi che affiancheranno Haran per quasi tutta la serie: Beauty Tachibana (bionda mozzafiato, figlia di un famoso imprenditore ex-socio in affari del padre di Banjo) e Reika Sanjo (ex agente dell’Interpol, che arriverà poco più avanti).
Se si vedono le puntate in sequenza, è chiaro come Reika (la mora, più matura) si innamori di Banjo mentre Banjo abbia un debole per Beauty, perché più “appariscente”.
Un triangolo che è perfettamente in linea con la cultura giapponese (dell’epoca) più che con quella occidentale (basti pensare alle similitudini con i protagonisti di Lamu), che invece vedrebbe la formazione di una specie di “harem” in cui le due ragazze si “contendono” Banjo oppure Banjo che mette il piede in due scarpe, diciamo così.
Oppure il finale che, ancora oggi, è considerato assai adulto:
Quindi, la verità è che chi ha assistito, in presa diretta, ai cartoni animati anni ’80 come questo, è stato involontario testimone di uno spirito dei tempi che temo non si ripeterà più.