Con questo slogan si veniva accolti dal signor Signor Roarke (Ricardo Montalbán), quando si esprimeva stupore: accompagnati dal nano Tattoo (Hervé Villechaize), per soli 50.000 dollari (dell’epoca!) si poteva esaudire qualsiasi desiderio.
Stiamo ovviamente parlando di una serie televisiva, “Fantasilandia” (“Fantasy Island”), trasmessa in Italia da Canale 5 nei primi anni Ottanta e che divenne all’epoca molto popolare.
La trama era piuttosto originale: ogni settimana due turisti potevano rivivere il proprio passato, incontrare personaggi famosi o dare sfogo a qualsiasi voglia… il tutto limitato ai pochi giorni in cui si trovavano sull’isola.
I turisti sono interpretati da personaggi noti del cinema o della televisione, e alcuni dei partecipanti diventeranno famosi poco più avanti. Ovviamente nessuno si domanda come sia possibile tutto questo. Non se lo domandano gli ospiti né gli spettatori. Avendo una chiave fiabesca, sono volutamente omesse le spiegazioni.
I desideri realizzati sono di varia natura: sentimentali, di relazione, di amicizia, di ambizione personale o, semplicemente, il tentativo di riscattare una vita priva di emozioni. A volte si tratta di persone sfortunate, soprattutto dal punto di vista affettivo; c’è chi ha commesso degli errori nel passato e c’è chi non ha preso in mano la propria vita quand’era il momento.
La cosa curiosa è che non sempre le vacanze desiderate vanno davvero come le si era immaginate.
Tra collane hawaiane e drink di benvenuto, Roarke esaudisce i sogni più strani, segue gli ospiti mentre si muovono nei loro sogni e dispensa anche consigli, e nonostante questo gli eventi non seguono lo svolgimento voluto dai protagonisti.
La realizzazione dei sogni, infatti, non di rado delude e porta a riflettere sulle cause dei vari fallimenti. Insomma i protagonisti, dopo aver provato la fantasia, preferiscono di gran lunga la realtà, per quanto brutta possa essere.
Ancora oggi, vedendo le oltre centocinquanta puntate della serie, si resta con la sensazione che che alcuni dei facoltosi turisti si affidino al tenutario dell’isola come ad un guru, spesso ignorando i limiti del soggiorno, che pur sono a loro perfettamente noti perché fanno parte del contratto.
Inconsapevoli delle reali cause della loro sofferenza, i turisti si rivolgono al signor Roarke con fiducia, confidandogli i desideri e i sogni più segreti, certi che quel “Qui ogni cosa esiste… se io lo voglio” si trasformerà ben presto nel beneficio di un desiderio realizzato.
Pensano davvero di poter avere una seconda possibilità e invece si scopre, pur potendolo rivivere, il passato non lo si può cambiare.
Quando pure si riesce a soddisfare il proprio desiderio, l’estasi dura tanto quanto la vacanza, e il rientro nel “mondo reale” è davvero duro. Anche perché è impossibile trasferirsi sull’isola per continuare a vivere il sogno, a meno non si decida di rinunciare a qualsiasi beneficio per sé, alla propria esistenza precedente e ci si dedichi completamente agli altri.
Allora il tenutario Roarke diventa una sorta di guida, e conduce i suoi clienti in un viaggio all’interno delle proprie illusioni, senza tuttavia spiegar loro come risolverle.
Sta ai protagonisti trovare la strada.
Quella che si potrebbe definire “la ricerca della felicità” diventa allora un percorso nella maturazione di una consapevolezza riguardo alla reale natura della sofferenza e della felicità. Un percorso ammantato di magia, che tuttavia non facilita affatto le cose.
A ben vedere, gli unici a uscire davvero a testa alta dalla vacanza sono gli “altruisti” o, meglio, sono coloro che hanno un rapporto equilibrato con i desideri e i sogni senza, per questo, aspettarsi chissà che riscatti o che soluzioni alla propria vita. Sono quelli che potrebbero rimanerci a vita, sull’isola, se solo lo volessero.
Per gli altri, invece, il sogno è un costoso risveglio alla verità.