Questo film l’ho visto al cinema nell’ormai (lontano) 1996, e l’ho rivisto tante di quelle volte che, praticamente, conosco a memoria le battute. Quindi quella che troverete qui non è una vera e propria recensione perché quella si scrive quando si è appena visto un film o letto un libro.
In questo caso, invece, vorrei esporre una specie di “illuminazione” che ho avuto, dopo appena vent’anni.
Partiamo, però, dall’inizio.
La filosofia orientale mi ha attirato da sempre, e così mi attirò Nirvana. Quindi è chiaro che ho interpretato, fin dall’inizio, questo film come se fosse una implementazione cinematografica del concetto di “annullamento della mente”, più affine al Buddismo Theravada che a quello Mahayana, a dire il vero, e sicuramente assai attinente all’Induismo (basta ascoltare il discorso di Solo per convincere Jimi a lasciare andare Lisa).
Secondo questo Buddismo, l’estinzione della coscienza è una condizione essenziale da raggiungere prima di estinguersi come forma fisica: altrimenti si ricomincerà da capo, si vivrà un’altra vita e si dovrà ripercorrere tutta la catena delle sofferenze (come il protagonista del videogioco).
Accade così che nel finale muoia Jimi (Christopher Lambert) e quindi si annulli la sua mente. Poco prima egli mette fine al “prodotto” della sua mente, e muore quindi anche la coscienza di Solo (Diego Abatantuono), ovvero del protagonista del videogioco.
Un finale che sembrava inevitabile viste le premesse, perché si comprende bene che Jimi ha compiuto quello che riteneva essere il suo dovere principale: “uccidere” il prodotto della sua mente.
Il problema è che il film non finisce con un bello schermo nero, ma con il riavvolgersi di tutti i ricordi, di tutte le scelte, fino ad un misterioso “NAIMA IS ONLINE”. Una scritta che troviamo, per la prima volta, dopo la sortita di Naima (Stefania Rocca) contro il messaggio di fine anno del presidente della Cibo Italia.
Cosa rappresenta questa scritta finale?
Perché il film si conclude così?
Secondo il Buddismo, la mente non è affidabile per comprendere la realtà perché la distorce; inoltre, essa è sede di azioni incontrollate, come i riflessi incondizionati, gli automatismi creati dall’abitudine e dalla cultura.
Mi parve quindi curiosa, ma in tono con questa affermazione, la scelta di lasciare gli attori liberi di interpretare il proprio personaggio, seguendo magari degli automatismi legati alle precedenti performance.
Infatti Christopher Lambert ha un viso ideale per chi non si accorge di essere in qualche modo “ingabbiato”. Al contrario, Diego Abatantuono è fin troppo esagitato e rappresenta, con precisione, chi cerca di liberarsi dalla gabbia in cui si sente costretto.
Gli altri comici non sono da meno… ma indimenticabili sono i siparietti di Abatantutono, durante lo scorrere della pellicola, nei quali cerca di convincere i personaggi del videogioco a far cambiare loro comportamento, come se essi non rispondessero (appunto) degli automatismi.
Una volta che il protagonista esce da casa sua, invece, l’atmosfera si fa seria e sembra di assistere a un remake di Blade Runner, dove si vede una commistione estremizzata di culture, lingue, etnie e religioni.
Queste scenografie, seppur suggestive e ben fatte, oltre che i successivi accenni iconografici al cyberpunk, distraggono dalla vera natura della pellicola e, in una certa qual misura allontanano dalla verità. Anzi, molti di coloro che hanno recensito questo film, hanno pensato di trovarsi di fronte a una sorta di omaggio alla fantascienza.
Invece, è tutt’altro.
Stavo accennando alle recensioni: se ne trovano diverse in giro per Internet, e alcune stroncano questa pellicola partendo quasi sempre dal presupposto che il comportamento del personaggio principale, Jimi, sia tutto sommato innaturale e incomprensibile.
Sostengono (in estrema sintesi) che è non è verosimile che un essere umano possa cercare di salvare un qualcosa che non è umano, anzi che è artificiale e finto, buttando al mare peraltro la propria carriera se non la propria esistenza.
Tutto il resto del film non sembra quindi compatibile con uno svolgimento ragionevole, compreso il finale in cui il personaggio si annulla, e addirittura il riavvolgimento è del tutto incomprensibile.
Tuttavia, all’inizio del film c’è una sequenza che ci da un indizio cioè quando Solo chiede a Jimi se lui è reale. Poi l’esistenza di un singolo agglomerato urbano, che viene percorso “a livelli” (il centro, Marrakesh, Bombay City). Più avanti, il regista ce ne da un altro ancora, ovvero quando Maria (Amanda Sandrelli) chiede a Solo se anche chi ha creato il gioco potrebbe essere a sua volta il personaggio di un videogioco. Infine, un altro indizio ancora: quando si vede l’angelo appeso, e l’assistente del guru afferma che “finché sogna, non pensa”.
Allora, tiro fuori un’idea, faccio un’ipotesi: e se il film non fosse tale? Se il film fosse il “LONG PLAY” del videogioco? Una sorta di dimostrativo? Una “demo”? Se, in altri termini, quello che vediamo fosse già il videogioco in esecuzione, nel quale il protagonista è Jimi che deve salvare Solo?
Tempo fa, Salvatores rilasciò un’intervista proprio per spiegare la genesi di Nirvana, e in una certa qual misura conferma questa intuizione. Infatti, ci racconta che una delle scene chiave è proprio quando il protagonista esce dalla casa. Affrontando, evidentemente, un nuovo livello.
Si spiegherebbero così tante cose.
Si spiegherebbe come fa Solo a vivere la sua vita virtuale anche quando il programma non è in esecuzione. Si spiegherebbe perché, prima di morire, entrambi i protagonisti si chiedono se hanno vinto.
Si spiegherebbe anche una trama, tutto sommato, debole: da quando in qua i videogiochi devono avere una trama robusta?
I videogiochi narrativi non sono film, ma le due forme hanno molto in comune. Non sarebbe onesto ignorare del tutto i film: da essi possiamo ricavare molto per quanto riguarda la narrazione attraverso le immagini. Comunque, è importante rendersi conto del fatto che le differenze sono molte di più delle somiglianze. Dobbiamo scegliere cosa prendere in prestito e cosa creare da zero.
Ron Gilbert, citato in LucasDelirium
Il riepilogo finale, a questo punto, altro non è che l’animazione che premia il giocatore che ha terminato il gioco (o, in questo caso, ha visto terminare il gioco). Il tentativo di presentare il sequel del videogioco stesso, dove la protagonista sarebbe stata la stessa Naima, e magari questa volta Joystick (Sergio Rubini) avrebbe ricominciato a volare.
Chissà se è questa la pellicola a cui fa rifermento il regista? L’argomento non sembra collegato, ma è strano chiamarla come uno dei protagonisti di un suo film precedente… soprattutto, è strano che non sia mai uscito nelle sale. Chissà!