Se avete voglia di passare una serata romantica e nostalgica, non c’è niente di meglio che farsi trasportare dalle immagini di un mediometraggio di Makoto Shinkai: si tratta di 5 cm al secondo.
I cinque centimetri sono la velocità a cui, si dice, scendano giù i petali dei sakura, dei fiori di ciliegio. Nella cultura giapponese rappresentano l’impermanenza di tutto ciò che è bello e prezioso, perché si può misurare solo quando cade giù e sparisce.
La storia è abbastanza lineare, anche se suddivisa in tre episodi di lunghezza diversa e che raccontano tre diverse età del protagonista, Takaki.
Nel primo questi e Akari frequentano la medesima scuola elementare, e si innamorano tra i banchi di scuola. Trascorrono molte giornate insieme, a Tokyo, finché il trasferimento dei genitori di lei a Tochigi non li obbliga a separarsi. I due cercano di tenersi in contatto e continuano a scriversi lettere. Si incontrano un’ultima volta, prima che anche lui si trasferisca a Kagoshima.
Nonostante siano passati ormai anni dal distacco (e dal primo episodio del mediometraggio), Takaki sente ancora il ricordo dell’amica e una parte di lei continua ad occupare i suoi sogni e i suoi pensieri, tanto da impedirgli di avere una storia negli altri due episodi.
Sono tre episodi ma anche età ed esperienze diverse. Ciò che accomuna gli ultimi due è l’idealizzazione del primo amore da parte del protagonista, che praticamente diventa quasi un’ossessione, che gli impedisce di entrare in contatto con la realtà che lo circonda.
Quello che veramente colpisce è la ricchezza di dettagli dei fondali. Sono vere e proprie opere d’arte, che valgono da sole la visione del film. Per esempio, alcune scene all’interno delle stazioni di Shinjuku sono così ben fatte che mi hanno fatto avere dei flashback del mio viaggio in Giappone.
Dal punto di vista della trama, la visione di questo film porta a una conclusione chiara: che si tratti di un petalo di ciliegio o di un amore, rimane solo il ricordo di quello che è stato.
Si può decidere di andare avanti e seguire la propria felicità attraverso le stagioni della vita. Oppure si può cercare di rimanere aggrappati al passato, guardare indietro per cercare ciò che abbiamo lasciato alle spalle.
Tuttavia, ci accorgeremmo presto che non c’è più nulla ad aspettarci.
Che molte cose sono cambiate.
Che non possiamo obbligare ad un “fermo immagine” i luoghi e le persone.
Non dobbiamo, però, dolerci di questa impermanenza: ci insegna a non rimanere attaccati al passato, a cercare al contrario di costruire il migliore dei futuri possibili: come? Attraverso il pieno e completo utilizzo del presente, che ora sappiamo essere l’unica cosa a cui davvero bisogna attaccarsi.