Qualche tempo fa partecipai, su un forum, a un sondaggio su quale fosse il film d’animazione che si dovrebbe vedere prima di morire. D’istinto citai alcune delle opere più importanti di Miyazaki. Poco dopo qualcuno mi suggerì di vedere Paprika – Sognando Un Sogno, disegnato e diretto dal maestro Satoshi Kon.
Cosa che ho fatto e, fatemi dire, sono molto soddisfatto del risultato!
La trama la si può condensare in poche, pochissime righe.
In un futuro prossimo sarà inventato il DC Mini, che permette agli psicoanalisti di immergersi nei sogni dei propri pazienti e quindi nel loro subconscio.
La dottoressa Atsuko Chiba, che agisce nei sogni altrui con lo pseudonimo di Paprika, inizia a svolgere la propria professione al di fuori dei circuiti controllati della sperimentazione: circuiti indispensabili perché la procedura è ad alto rischio, e sperimentale.
All’inizio del film scopriamo che alcuni esemplari del DC Mini di queste sono stati rubati, e proprio grazie alla tecnologia trafugata il ladro inizia a far vivere alle persone sogni ad occhi aperti (dei veri e propri sogni lucidi passivi), e trasforma le sue vittime in pupazzi impazziti.
Il tutto per creare un vero e proprio “sogno collettivo”, e che porta Paprika ad agire per evitarlo.
Il sogno è il centro dell’azione per tutta la durata del film, ed è quindi difficile notare il confine di passaggio tra realtà e immaginazione. Anche se il tema non è dei più originali, è tuttavia interessante notare come il regista cerchi di collegarlo subito al cinema fin dalla sequenza iniziale.
Il fascino di questo lungometraggio si trova, a mio parere, nella struttura della narrazione.
Sono continue le relazioni tra il cinema, inteso come pellicola che scorre davanti ai nostri occhi e di cui noi siamo semplici spettatori, e il sogno, inteso anch’esso come uno spettacolo, di cui siamo (involontari) registi.
La frase usata dal dottor Tokita, nel momento in cui il direttore dell’istituto inizia a sognare il sogno di un altro paziente attraverso la Dc Mini, è quella di “un sogno proiettato nel suo inconscio senza che lui se ne accorgesse”.
Questa frase contiene a mio avviso la chiave di lettura di tutta la pellicola, e anche della riflessione che vi si trova celata: se è davvero possibile controllare i sogni, non vuol dire ciò dimostrare che l’uomo non è effettivamente più libero?
Infatti, i sogni sono l’ultima frontiera irraggiungibile al pensiero conscio, e volendo alterarne il funzionamento proprio con la mente conscia, ci troveremmo inevitabilmente a limitarne l’espressività.
Una nota particolare va al doppiaggio del film, che si è avvalso della voce di Michele Gammino, e quindi tratteggia il personaggio del detective Kogawa in maniera molto “noir”, mentre affronta traumi rimossi attraverso la macchina dei sogni guidato da Paprika.
Visto che il tema del lungometraggio, un soggetto che entra nei sogni di un altro, è alla base anche del film Inception , mi son preso la curiosità di vedere chi avesse avuto per primo l’idea.
Ebbene, credo proprio che Christopher Nolan debba molto a Satoshi Kon perché il lungometraggio è venuto prima.
Mi spiace solo che sia un riconoscimento postumo: infatti, ho scoperto solo ora che il regista è scomparso nel 2010, alla giovane età di quarantasette anni.
Per fortuna ha fatto in tempo a lasciare quest’opera, e penso che tutti noi gli siamo molto grati dell’atto creativo che ci ha voluto donare.