Siamo d’accordo che l’idea non è originalissima. Far rivivere ad un personaggio un pezzetto di vita in maniera ripetitiva non è una novità, e se vi è tornata in mente una marmotta non è un caso. In Source Code, però, lo sceneggiatore fa un passo in avanti: cosa fareste se foste costretti a rivivere continuamente gli stessi ultimi otto minuti della vita di un altro?
Il protagonista si sveglia su un treno di pendolari in viaggio verso Chicago. L’ultima cosa che ricorda è di essere stato in missione in Afghanistan ma, soprattutto, di non essere la persona che si trova effettivamente in viaggio.
Scopre che alle altre persone, tra cui la compagna di viaggio Christina Warren, appare come Sean Fentress, un insegnante di storia. Mentre cerca di capire come è finito su questo viaggio, sul treno si verifica una grossa esplosione che uccide tutti a bordo e lo fa deragliare.
Fine degli otto minuti.
Come mai, nel rivivere gli otto minuti, si trova ad essere un’altra persona?
Al protagonista viene rivelato di trovarsi nel “codice sorgente” (Source Code), un dispositivo sperimentale creato dal dottor Rutledge, scienziato che lavora per un’unità militare, e che permette di vivere gli ultimi otto minuti di vita di un’altra persona all’interno di una linea temporale alternativa.
Perché si trova a vivere gli ultimi istanti proprio di quella persona?
Perché è l’unico “compatibile”, per scoprire l’identità di chi ha messo la bomba, e infine per impedire che esploda un ordigno ben più micidiale al centro di Chicago.
Fin qui alcuni dettagli della trama: il film però si pone in maniera leggermente più filosofica, sia nel definire cos’è la realtà sia, soprattutto, nei confronti del ruolo del protagonista, il capitano Colter Stevens.
Lui è, a tutti gli effetti, una cavia di un progetto tanto complesso quanto segreto, del quale ignorava persino l’esistenza quando era in vita. Perché, in effetti, la vita del protagonista è appesa a un filo, essendo gravemente mutilato e in stato comatoso a seguito di un incidente con il suo elicottero durante la missione in Afghanistan.
Non ha scelto di partecipare al progetto e, anzi, non sa neanche di essere in fin di vita.
Però è costretto a rientrare nel codice sorgente più e più volte, rivivendo ogni volta gli stessi otto minuti e scartando passeggero dopo passeggero, e nel frattempo innamorandosi di Christina.
In realtà, il punto debole di questa pellicola si trova proprio in quello che dovrebbe essere il punto di forza. Il principio su cui si basa il programma segreto sembra aver più a che fare con il riverbero delle attività mentali delle vittime piuttosto che sulla possibilità di vivere in un mondo alternativo. In altri termini, il soggetto è convinto di vivere in una realtà ma, in teoria, potrebbe essere una completa allucinazione. Tant’è vero che la “sua” realtà di quando non si trova nel programma è, a tutti gli effetti, un’allucinazione.
Eppure, lo sviluppo immagina l’esistenza di una vera e propria realtà alternativa, nella quale sono trascinati anche i vivi che circondano il protagonista.
Il che mi ricorda fin troppo bene la semi-vita di Ubik, e per non spoilerare troppo vi dirò che anche in quel caso un “non ancora morto” è in grado di vivere un’esistenza apparentemente reale e di comunicare con i vivi. L’unica differenza, però, è che l’esistenza è unica, è una. Cioè non esistono più realtà.
In questo film, invece, si cominciano a citare teorie quantistiche come quella dei “molti mondi”, ed è questo che trasforma il film da “fantascienza” a “fantastico”.
Perché, se lo sviluppo fosse veritiero, allora le realtà sarebbero decine e decine, e quale sarebbe la realtà più “reale” delle altre? Non si tratta di rivivere esattamente la stessa scena perché, anche se il programma si “resetta” all’inizio, gli sviluppi sono sempre diversi (a volte la bomba esplode a volte no, a volte il protagonista viene ucciso, ecc…). Pare che tali alterazioni si manifestino, poi, nel mondo reale (ma qual è il mondo reale?) e quindi vi sarebbe una sovrapposizione di effetti tale da creare una confusione nella realtà.
Insomma, con la scusa della fisica quantistica, si giustifica tutto. Anche l’inverosimile.
Passa otto minuti con loro!
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