Cos’è umano, e cosa non è umano? Cos’è la coscienza? Sarà mai possibile trasmettere la propria coscienza alle macchine? Le macchine saranno mai in grado di esercitare una coscienza e, in tal caso, quali saranno le conseguenze? Sarà possibile, in un futuro più o meno vicino, “simulare” le emozioni a un livello tale da far provare emozioni alle nostre simulazioni?
Nell’universo esistono cose gelide e crudeli, a cui io ho dato il nome di “macchine”. Il loro comportamento mi spaventa, soprattutto quando imita così bene quello umano da produrre in me la sgradevole sensazione che stiano cercando di farsi passare per umane pur non essendolo. In questo caso le chiamo “androidi”.
Se c’è una cosa che il film Eva di Kike Maíllo (clicca qui per vederlo gratis per 30 giorni) tira fuori sono proprio tante riflessioni filosofiche. Un film spagnolo ma di respiro europeo, come in Italia non se ne fanno ormai più (chi ricorda l’ultimo film di fantascienza italiano, Nirvana?).
Il tema della pellicola è l’intelligenza artificiale, dove un famoso programmatore (Alex Garel) torna a casa dopo molti anni per riprendere in mano un vecchio progetto universitario, la creazione di un androide bambino. Il progetto nelle mani di Alex, però, diventa il tentativo di creare una personalità interessante e diversa dalle solite.
Mentre è indaffarato a trovare l’idea per realizzare il prototipo incontra Eva, la nipote di dieci anni, di cui peraltro non sapeva nemmeno l’esistenza e decide di utilizzarla. Un po’ come modello, un po’ come consigliera. Certo, i genitori non sono molto d’accordo nel tentativo di Alex di “sfruttare” la figlia per i propri test, e a questo punto Alex si limiterà ad osservare il comportamento di Eva. Ma non tutto è come sembra…
Per “androide” non intendo il risultato di un onesto tentativo di ricreare in laboratorio un essere umano. Mi riferisco invece a una cosa prodotta per ingannarci in modo crudele, spacciandosi con successo per un nostro simile.
Ora, non è che si possa parlare di questo film senza rivelare il finale, e quindi mi limito a dire che il progetto di Alex non andrà a buon fine e che, alla fine, la scelta di lasciare l’università dieci anni prima sarà l’ostacolo al suo realizzarsi come professionista. Rimarrà con un pugno di mosche in mano, e l’unica cosa che potrà fare sarà riscattarsi, con un atto che difficilmente potremo definire “etico”.
Un essere umano privo di capacità empatica e di sentimenti è identico a un androide costruito, intenzionalmente o per errore, senza di essi. Ci riferiamo fondamentalmente a qualcuno cui non importa della sorte delle creature viventi sue simili: costui ostenta distacco, come uno spettatore, confermando con la sua indifferenza il teorema di John Donne, secondo cui “no man is an island” [lett: “nessun uomo è un’isola”], ma in una formulazione leggermente diversa: un’isola morale e mentale non è un uomo.
Per il resto, la pellicola non brilla per grandi quantità di idee, o per una sceneggiatura articolata. Il regista, grazie a un flash forward molto azzeccato ma anche al titolo, che qualcosa pur sempre vorrà dire!, ha dichiarato subito le sue intenzioni. Quindi niente colpi di scena.
Riguardo invece l’aspetto più prettamente fantascientifico, sono molti i film che hanno scelto come tema quello dell’intelligenza artificiale. Sono ornai decenni che si dibatte e si filosofeggia attorno alla questione. Personalmente, ho una mia teoria e riguarda la complessità: non è un caso che abbia scelto di inframmezzare a questa recensione uno scritto molto interessante di Philip K. Dick, Uomo, androide e macchina.
Superato un certo livello di complessità, i sistemi si comportano come se avessero una coscienza. Quando la complessità supera di uno o due ordini di grandezza questo livello, la coscienza non è più una simulazione ma è essa stessa elemento che si ritroverà a scorrere nei circuiti: non potremo stupirci se una macchina siffatta interromperà le sue abituali occupazioni e vi presterà il suo aiuto. Finirete per attribuirle, pieni di riconoscenza, un carattere umano che a un’analisi dei suoi microchip risulterebbe indimostrabile. Uno scienziato che cercasse, tra i circuiti di tale macchina, dove è sita la coscienza non sarebbe diverso da uno scienziato che cercasse l’anima durante un’autopsia.
Per usare le parole di Dick,
L’anima sta all’uomo come l’uomo sta alla macchina: è la dimensione aggiuntiva, in termini di gerarchia funzionale. Così come uno di noi può agire in modo davvero divino (donando il proprio mantello a uno sconosciuto), una macchina agisce umanamente quando interrompe il ciclo del suo programma per tornare a svolgerlo solo in seguito a una propria decisione consapevole.
Per concludere, vi do un consiglio: esercitatevi molto nell’empatia e nel coinvolgimento emotivo , prima di vedere questa pellicola. Anche se parliamo di macchine e androidi, non è improbabile che delle vere lacrime scorrano quando arriverete al finale. Le lacrime, però, potrebbero essere le vostre.